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| Valentina Besana |

Il mio primo blog tour alla scoperta della Tuscia

Primo blogtour, sono capitata bene: si va in Tuscia, terra di etruschi, di storia, di ricordi sospesi nella storia, di tradizioni che non sapevamo nemmeno di avere.
Prima di partire ho chiesto a un campione casuale di persone se sapessero dov’era la Tuscia: la risposta più popolare è stata “la cosa scusa?”. Quindi prima di tutto facciamo un po’ di chiarezza.



Di cosa si parla? Wikipedia ci spiega che la Tuscia era la denominazione attribuita all’Etruria dopo la fine del dominio etrusco, invalso a partire dalla Tarda antichità e per tutto l’Alto Medioevo. Il nome indicava in origine un territorio assai vasto che comprendeva tutta l’Etruria storica, la Toscana, l’Umbria occidentale e l’Alto Lazio”, e quindi Lazio.
Si perché quando si parla di Etruria e del popolo che ci abitava, la mente corre subito alla Toscana e alle sue necropoli.
Il nostro campo base invece, è Viterbo, città che abbiamo scoperto nelle affascinanti parole di un cantastorie, che l’ha resa magica alle nostre orecchie e ai nostri cuori, ma questo ve lo racconto dopo.
C’è magia. Abbiamo cominciato a scoprire le antiche terre degli etruschi in un modo curioso, partendo dalle rovine dell’antica Acropoli di Tarquinia, che nel Medioevo si è spostata qualche collina più in là: scopriamo dalle parole di Laura – organizzatrice del blogtour e anima di Tusciainrete.it- e di Norma – guida tedesca che ci racconta con amore le meraviglie del territorio italiano- che gli etruschi costruivano le loro città stato in luoghi carichi di energia, e che nulla era lasciato al caso.
Questo il nostro tour raccontato poi, passo passo. L’itinerario fattibile in due giorni ad un passo sostenuto, ma la soddisfazione finale appagherà a tal punto di dimenticare qualsiasi fatica.
1. Per arrivare all’Ara della Regina dobbiamo camminare lungo un sentiero sterrato e poi passare per i campi di un pastore dall’erba alta: e poi eccolo lì, il tempio etrusco più grande mai ritrovato. Enorme e purtroppo protetto da una recinzione (forse erano stanchi di vedersi portare via montagne di reperti storici!). Emerso dagli scavi nel 1938, è rimasto lì, immutato. La pace che lo circonda, il vento, che accarezza l’erba. Ti rasserena.
Città e necropoli una di fronte all’altra, come vuole da tradizione delle città stato. Perché per loro era solo un passaggio, niente di grave: anzi, have fun!
2. La concezione della morte come party moment viene espressa divinamente nella Necropoli comunemente chiamata dei Monterozzi – Strada provinciale Monterozzi Marina 01016 Tarquinia, telefono: (+39) 0766 856308  orario di apertura: dalle 8.30 ad un’ora prima del tramonto (invernale); dalle 8,30 alle 19,30(estivo) – uno dei siti storici più importanti dell’intera Tuscia.
Tombe dipinte dai colori ancora visibili e dai disegni curiosi (non è d’abitudine trovare atleti, uccelli colorati,donne e uomini barcollanti con calici di vino in mano, streghe e cavalli alati che se la spassano su una lapide). Le tombe non sono tutte visibili ma quelle visitabili sono ben conservate. In tutta la zona sono disseminate centinaia di tombe, come riconoscere i luoghi esatti? Se c’è un tumulo di terra e un albero state pur certi che sotto c’è una tomba!

Vista dalla Necropoli dei Monterozzi

Necropoli dei Moterozzi
Necropoli dei Moterozzi

3. Museo Archeologico di Tarquinia, nella splendida cornice di palazzo Vitelleschi (Piazza Cavour 2, Tarquinia (VT) Recapiti telefonici: biglietteria (+39) 0766. 850080; Orario di apertura: 8,30-19,30; la biglietteria chiude alle 18.30.Chiuso lunedì) reperti storici di diverse epoche perfettamente intatti, tra cui l’incredibile “traslazione” di alcune tombe dipinte. Si perché all’interno del museo si trovano le tre pareti di 4 tombe affrescate, smontate e rimontate lì dentro. Sinceramente ancora mi chiedo come possano aver fatto. Oltre a queste anche gli storici cavalli alati rinvenuti nel 1938 nell’Ara della Regina in più di 100 pezzi: restaurati, sembrano appena scolpiti (e risalgono all’inizio del IV secolo a.C.!). Curiosi anche i mestoli che gli antici usavano per filtrare il vino, bevanda usata principalmente per elevarsi più vicini al divino (ma senza ubriacarsi, non era visto di buon occhio… Per quello ci hanno pensato più avanti i romani) dai connotati molto diversi dal nostro attuale rosso. Venivano aggiunte spezie e miele. Personalmente non sarei curiosa di provarlo!
4. Pranzo rapido al ristorante Arcadia di Tarquinia (menu veloce, possibilità di menu per gruppi e per il pranzo) e veniamo catapultati in un luogo a dir poco magico: il Castello della Badia all’interno del Parco Archeologico Naturalistico di Vulci (www.vulci.it). Un posto da sogno. Ho avuto la stessa sensazione di straniamento guardando il puntino sulla mappa che eravano noi in quel momento che ho avuto mentre guardavo dov’ero posizionata in Central Park a New York. E’ enorme. Davvero enorme.
La natura incontaminata si amalgama con reperti storici che spuntano come funghi. Il Castello risale al XII secolo (recentissimo rispetto a tutto quello che ci troviamo intorno) lo splendido ponte che capeggia davanti è di epoca etrusca. Peccato non poterci passeggiare sopra.
Il ponte del parco archeologico naturalistico di Vulci

5. Facciamo un salto a Tuscania, posizionata come da tradizione su un colle per chiari motivi di avvistamenti e protezione e che, invece, adesso regala solo una vista mozzafiato che accompagna una città che ha ancora i tratti antichi dei borghi medioevali, arroccati e densi (ovviamente con qualche pezzo di modernariato violento che centra come i cavoli a merenda… Bruttissimi!). Passeggiamo dentro Santa Maria Maggiore, che si trova stranamente alla base del colle dove sorge la città (era centrale prima che tutto venisse spostato nella parte più a nord della montagnola su cui sorge): è una chiesa strana, un mix di stili e decorazioni di diverse epoce, il campanile staccato dal corpo della chiesa svetta di fronte all’entrata, gli affreschi di epoche successive che rappresentano scene del giudizio universale, i capitelli corinzi (e non), un fonte battesimale con lastre scolpite. Insomma, anche se in fase di restauro e apparentemente austera, ha un fascino incredibile e con mille dettagli da scoprire.
A seguire tappa alla Basilica si San Pietro (Orario estivo: tutti giorni dalle 09:30 alle 13:00 e dalle 14:30 alle 18:00 Orario invernale: tutti giorni dalle 09:30 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 17:00) : nella memoria di molti questa chiesa già c’è. Monicelli decise di girare proprio qui alcune scene de L’armata Brancaleone. L’origine di questa chiesa è piuttosto incerta, sicuramente nata sulle rovine di un tempio etrusco (forse per gli abitanti della Tuscia è normale, ma per un forestiere è sempre sbalorditivo vedere tombe scolpite qua e là, vicino alla strada, di fianco alla chiesa… Ovunque!), costruita e rimaneggiata innumerevoli volte (i diversi stili solo decisamente visibili anche all’occhio più ignorante), ha una cripta che mi ha scatenato la stessa piacevole sensazione della Basilica Cisterna di Istanbul, di una bellezza disarmante. Ovviamente non si potevano fare foto (ovviamente qualche foto è scappata… Ma mi è solo caduto il dito sul pulsante!).
 
Cripta di San Pietro
Cripta di San Pietro a Tuscania

Dopo un riposino siamo andati a cena in un locale storico di Viterbo in un palazzo, ovviamente, dalle origini antiche (XV secolo): il Gran Caffè Schenardi piccolo buffet, ottimo vino (un Sassicheta che non conoscevo e che mi sono gustata fino all’ultimo goccio) e poi una sorpresa fantastica: Antonello Ricci che ci racconta Viterbo. Forse la parte migliore è stata scoprire che se dovessi tornare a Viterbo posso comodamente prenotarmi un posto per la visita guidata con lui dal sito tusciainrete.it. La città è piena di angoli nascosti, storie da raccontare.
La serata a Viterbo è stata più che altro emozionale… e quello preferisco raccontarlo in un altro post!
Il giorno dopo il panorama cambia, passando per delle incredibili vie cave (come dei canyon, sono strade scavate nella roccia che sono così profonde perché venivano continuamente abbassate per evitare che si incastrassero i carri che creavano i solchi… devo ammettere che è mozzafiato passarci in mezzo!) ci dirigiamo verso la Necropoli di Castel d’Asso, uno degli scavi più suggestivi scoperti addirittura ad inizio del 1800. Trekking leggero, e tra le fronde scopri quella finta porta (quella specie di T che capeggia sull’ingresso, che ai tempi era anche colorata con tinte vivaci: simbolica, il passaggio verso il mondo dei morti) che segnala la presenza di uno scavo.
Il luogo è stracolmo di reperti, la necropoli ha il suo exploit nel corso della fine del IV e II secolo a.C.  La forma a dado qui predominante si articola su facciate semplici o su un modello canonico più complesso costituito da tre elementi sovrapposti: la facciata, l’ambiente di sottofacciata, la vera e propria camera sepolcrale. E a differenza di quanto si possa pensare alcune tombe – come la tomba Orioli, la prima ad essere scoperta- erano comunitarie. Uno in fila all’altro con teste e piedi che si invertivano, si arrivano a contare 63 solchi. Sempre per il discorso che è un passaggio verso qualcosa di molto simile alla vita terrena. Almeno lì stavano in compagnia. Curiosi anche i corridoi – chiamati Dromos – che portavano ad alcune tombe: simboleggiavano il ritorno all’utero materno,  un simbolo di rinascita. Tanto per ricordarci quanto la morte la vivessero meglio di noi.
 
La tappa finale di questa intensa due giorni è la città (azzardo troppo? Diciamo borgo!) di Calcata.
Una chicca finale. Un borgo medioevale dove si concentrano un’altissima percentuale di creativi, artisti, ristorantini e chi più ne ha più ne metta. E il fatto che la leggenda vuole che nella chiesa principale fosse custodito il prepuzio di Gesù lascia cogliere cosa vi potete aspettare. Si respira un aria un po’ hippy, condita da venditori ambulanti e mercatini bio. E’ visitabile solo a piedi, per fortuna direi, visto che nel centro di Viterbo parcheggiano anche sui muri rovinandone brutalmente il fascino. Ripenso ai vicoli e rido pensando alla scena di Amici miei ambientata lì: si, proprio lì si divertivano a progettare la “distruzione della città” per far passare l’autostrada delle Ginestre. Si respira aria buona, si fa un salto indietro nel tempo e si mangia bene. Si perché, a quanto pare è meta di gite giornaliere per buongustai. Noi abbiamo mangiato a La Piazzetta, piatti semplici, come spiedini di pecora o gli stringozzi cacio e pepe fatti a mano (o come scrivono loro sul cartello fuori dal ristorantino “li famo noi”). Calcata è conosciuta per i gatti, la gente educata. A Calcata c’è ancora una cabina del telefono come in Italia non se ne trovano più. Il tempo si è fermato.
Calcata la città dei gatti
Calcata, la città dei gatti

In Tuscia è così, ai margini della big city c’è un territorio ancora da scoprire, dove il tempo è compagno di piacere e non nemico delle giornate, dove la terra è parte della tua storia. Della nostra storia.
Tutte le foto scattate in Tuscia le trovate sulla pagina FB di Be Road

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Valentina Besana

Mi chiamo Valentina Besana, adoro viaggiare con il mio compagno e i nostri due figli di 10 e 13 anni. Da quando siamo una famiglia sono sempre alla ricerca di mete kids friendly che amo condividere su questo blog.

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